La professione

È ormai da tempo riconosciuto e via via sancito dalla normativa vigente, che alla professionalità dell’archivista sono riconducibili due diverse figure: quella del ricercatore, che lavora, con criteri e metodologie scientifiche, sugli archivi storici per rilevarne la struttura, ricostruirne l’ordinamento e fornirne la descrizione, e quella del gestore dei sistemi di archiviazione, competente in materia di processi di formazione e di sedimentazione degli archivi e di regolazione dei flussi documentali.

Questo caratteristico dualismo, che ha determinato, sulla base di differenti canali formativi, dannosi errori di valutazione e vistosi dislivelli di status fra le due figure, tende oggi a ridursi, anche grazie all’elaborazione della norma UNI 11536/2014, che , pur con le dovute distinzioni, le riconduce entrambe a una medesima area, caratterizzata da requisiti di base condivisi.

In Italia si incontrano ancora molte resistente e difficoltà nel riconoscere il valore di questa professione, sia relativamente alla figura di archivista ricercatore che a quella di gestione di sistemi, in quanto si sottovaluta la stessa capacità degli archivi di costituire risorse per lo sviluppo della coscienza civile e per l’efficienza delle imprese e delle istituzioni. Il Quadro europeo delle qualifiche (EQF), promosso dalla Commissione Europea, attribuisce invece all’archivista un elevato livello di qualificazione professionale, riconoscendogli un profilo caratterizzato da un alto grado di responsabilità e di autonomia e collocandolo quindi, su una scala complessiva di otto livelli, al sesto e al settimo.

La normativa

Il patrimonio archivistico italiano è regolato in primo luogo dal Codice dei beni culturali e del paesaggio (decreto legislativo n. 42 del 22 gennaio 2004, successivamente aggiornato e integrato), che ha preso il posto del Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali (decreto legislativo n. 490 del 29 ottobre 1999), con il quale, per la prima volta, si provò a formare, sulla base del concetto di bene culturale risultante dai lavori della Commissione Franceschini (1964-1967) e dell’istituzione nel 1975 di un ministero specificamente addetto a tale ambito (oggi Ministero dei beni e delle attività culturali), un corpo normativo unico, non più suddiviso fra disposizioni di settore.

Pur riproponendo alcune disposizioni già presenti nel DPR n. 1409 del 30 settembre 1963 (Norme relative all’ordinamento ed al personale degli archivi di Stato), il Codice costituisce un corpo normativo sostanzialmente nuovo e trasversale, in cui la materia relativa agli archivi è esposta contestualmente alle norme riguardanti tutti i beni culturali.

L’articolazione in tre parti (disposizioni generali, beni culturali, beni paesaggistici) riflette il tentativo di conciliare l’integrazione delle direttive riguardanti i diversi ambiti culturali con la conferma della distinzione fra questi e l’ambiente. Alcuni importanti aspetti dei problemi riguardanti il mondo degli archivi sono oggetto anche di altre disposizioni di legge, dal Testo unico sulla documentazione amministrativa (DPR 445 del 28 dicembre 2000) al Codice in materia di protezione dei dati personali (decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e suoi aggiornamenti) al Codice dell’amministrazione digitale (decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, suoi aggiornamenti e relative Regole tecniche).

Nell’ambito regionale campano, questo corpo normativo non ha potuto integrarsi, come è invece avvenuto in altri ambiti territoriali, con disposizioni di natura locale (innanzitutto regionale), la cui carenza è fonte di significativi vuoti di regolamentazione, con conseguenti rilevanti disagi per gli studiosi.